Lavoro, nel 2019 l’11,8% dei lavoratori italiani era povero con una retribuzione inferiore al 60% …

Guarini: «Il salario minimo per legge non riduce la precarietà del lavoro. Necessaria una strategia complessiva in grado di affrontare le nuove sfide e le debolezze macroeconomiche e di politica industriale. Urgente ripartire dai rinnovi contrattuali settoriali per recuperare il potere di acquisto delle retribuzioni e dei salari messi a dura prova dalla crisi economica»

Roma, 19 gennaio 2022 – Avere un lavoro non basta per non essere poveri: in Italia infatti più di un lavoratore su dieci si trova in situazione di povertà e circa un quarto ha una retribuzione individuale bassa, cioè inferiore al 60% della media. Un fenomeno che risulta più marcato anche nella comparazione con gli altri stati europei fatta da Eurostat: nel 2019 l’11,8% dei lavoratori italiani era povero, contro una media Ue del 9,2%.

A smentire il luogo comune che vorrebbe la povertà legata solo alla mancanza di un lavoro è la Commissione sugli interventi e le misure di contrasto alla povertà lavorativa in Italia del ministero del Lavoro nel Rapporto conclusivo 2021.

La povertà infatti, si legge nell’analisi ministeriale, “è il risultato di un processo che va ben oltre il salario e che riguarda i tempi di lavoro, quante ore a settimana e quante settimane in un anno; la composizione familiare, e in particolare quante persone percepiscono un reddito all’interno del nucleo; e il ruolo redistributivo giocato dallo Stato”.

Per questo le categorie più a rischio sono i lavoratori occupati solo pochi mesi all’anno, o a tempo parziale o ancora i lavoratori autonomi, monoreddito e con figli a carico. E’ per questa sua natura, dunque, spiegano ancora gli economisti della task force, che la povertà lavorativa necessita di una strategia complessa che preveda la contemporanea messa a terra di una molteplicità di strumenti con cui sostenere i redditi individuali, aumentare il numero di percettori di reddito, e assicurare un sistema redistributivo ben mirato.

Sono cinque le proposte elaborate per un pacchetto da rendere operativo contestualmente in ogni sua parte: a partire dalla garanzia di un salario minimo adeguato, rafforzandone la vigilanza documentale, per passare all’incentivazione del rispetto della contrattazione erga omnes aumentando la consapevolezza e l’informazione tra gli stessi lavoratori oltre che a promuovere una revisione dell’indicatore Ue di povertà lavorativa ma anche all’introduzione di forme di sostegno al lavoro, il cosiddetto “in-work benefit”.

Un sostegno economico quest’ultimo, che integri i redditi dei lavoratori poveri “con cui aiutare chi si trova in difficoltà economiche incentivando il lavoro regolare”. Uno strumento, si legge, con cui di fatto, assorbire gli 80 euro, ora bonus dipendenti, e la disoccupazione parziale per arrivare ad uno strumento unico, di facile accesso e coerente con il Rdc e il nuovo Assegno unico.

Sulle proposte della task force del ministero è intervenuto il segretario generale della Fisascat Cisl Davide Guarini.

«La povertà è un fenomeno devastante che va contrastato. Crediamo fermamente, come anche sostenuto dal Rapporto del Ministero – ha dichiarato il sindacalista – che alle proposte elaborate dalla Commissione deve essere coniugata una strategia complessiva in grado di affrontare le nuove sfide e le debolezze macroeconomiche e di politica industriale esasperate dalla pandemia ma precedenti alla crisi da essa generata, alla quale affiancare anche politiche per il lavoro (politiche attive, regolazione lavoro atipico, contrattazione) e gli investimenti in istruzione e formazione con l’obiettivo di aumentare quantità e qualità del lavoro».

«Per quanto ci riguarda, come sindacato, dobbiamo ripartire dai rinnovi contrattuali settoriali e consentire di recuperare attraverso gli aumenti economici da essi definiti il potere di acquisto delle retribuzioni e dei salari messi a dura prova dalla crisi economica, dall’inflazione e dal rincari delle materie energetiche, situazione che rischia di degenerare e rischia di impoverire ulteriormente il tessuto sociale».

«Il nostro approccio non è esclusivamente di rivendicazione salariale» ha aggiunto Guarini sottolineando che «il sindacato è disposto ad analizzare il contesto economico e ad individuare soluzioni ai diversi problemi ma le associazioni imprenditoriali devono avere altrettanta consapevolezza che se non interveniamo sul recupero del potere di acquisto delle retribuzioni ci saranno altri effetti nefasti sull’economia che stenta a ripartire». «Richiamiamo alla responsabilità anche le istituzioni che dovrebbero piuttosto ascoltare le Parti Sociali, in particolare il Sindacato, e proporre provvedimenti che limitino la precarietà nel mondo del lavoro piuttosto che avventurarsi in discussioni sul salario minimo per legge, che da solo non riduce la precarietà, o sulla rappresentanza».

«Responsabilmente rivendichiamo il ruolo del sindacato anch’esso chiamato ad elaborare un progetto di prospettiva e di rilancio delle relazioni sindacali» ha evidenziato. «Cercheremo di stringere sui tavoli negoziali ancora aperti auspicando una presa di coscienza generalizzata delle associazioni imprenditoriali sulla necessità di investire sul capitale umano con azioni concrete che pongano al centro l’interesse della persona con adeguate risposte volte a contrastare le diseguaglianze e la povertà» ha concluso il sindacalista

Related Posts